Paolo Borgognone 

Un documento dell’intelligence israeliana trapelato sulla stampa internazionale ha svelato ciò che del resto era chiaro sin dal primo giorno cioè che lo scopo dell’offensiva su Gaza consiste nel trasferire forzatamente in Egitto i 2,3 milioni di abitanti della Striscia. E dietro le parole trasferimento forzato si cela una tragedia umanitaria, una seconda Nakba, un esodo di più di 2 milioni di persone, vecchi e bambini compresi, sotto bombardamenti incessanti e un’invasione di terra attuata con tank e mezzi pesanti. Se una catastrofe simile fosse stata posta in essere a parti invertite, cioè dai palestinesi a danno degli israeliani, in Occidente si sarebbe parlato di pulizia etnica e deportazione. Invece, allo stato attuale, va tutto bene, è anche questo parte della nuova normalità. Nei fatti si tratta della messa in scena concreta del programma dell’estrema destra suprematista israeliana di sempre. Solo un intervento militare turco potrebbe spezzare questa spirale di inaudita violenza colonialista. Un intervento di questo tipo, cioè attuato da un Paese che fa parte del blocco occidentale (la Turchia è il secondo esercito della NATO) ma che è musulmano, aprirebbe una faglia insanabile all’interno di tale blocco, causandone il corto circuito e forse un processo implosivo, almeno di rilevante crisi endogena. La Turchia potrebbe, difendendo Gaza, causare il collasso del blocco imperialista occidentale. Credo che non stia agendo per evitare tutto questo, poiché Erdogan pur se invitato a intervenire da ampi settori della sua opinione pubblica e del suo elettorato, nonché dai suoi alleati politici nazionalisti (MHP, Partito del Movimento Nazionalista, ex Lupi Grigi), non se la sente di caricarsi della responsabilità di giocarsi definitivamente l’amicizia degli USA e di passare alla storia come l’uomo che ha posto fine al dominio mondiale dell’Occidente. Staremo a vedere… In ogni caso in Medioriente non si sta solamente svolgendo un conflitto inerente alla causa palestinese bensì una guerra di egemonia. Una guerra che l’Occidente non può perdere poiché, se perdesse anche il Medioriente dopo aver subito una disfatta in Ucraina, rischierebbe veramente il tramonto definitivo, ovvero non sarebbe più considerato, sul piano globale, una forza temibile. Un altro attore fondamentale di questo scenario, dopo la Turchia, è l’Egitto. L’Egitto non può accogliere 2,3 milioni di palestinesi anche se l’Occidente gli ha promesso, per farlo, l’azzeramento del suo debito estero. E non può farlo per 2 motivi: 1) se accogliesse i gazawi, l’Egitto di fatto avallerebbe le politiche israeliane di trasferimento forzato e di pietra tombale sulla soluzione “a due Stati” del conflitto. Se vuole preservare la sua stabilità interna, l’Egitto non può tradire definitivamente la causa palestinese; 2) l’Egitto non se la sente di accogliere Hamas sul suo territorio, poiché ritiene di aver chiuso la partita con la Fratellanza Musulmana nel 2014 e non ha intenzione di riaprire questo spinoso capitolo. L’Egitto dovrebbe considerare un atto di guerra ai suoi danni l’avvio di un esodo di gazawi verso il proprio territorio nazionale. Per queste ragioni Il Cairo non apre il valico di Rafah. E l’Iran? Un intervento iraniano allargherebbe il conflitto ma non produrrebbe le stesse contraddizioni interne al bocco occidentale di un intervento turco poiché l’Iran non è, a differenza della Turchia, un Paese NATO. Per cui un intervento iraniano andrebbe paradossalmente a consolidare il blocco occidentale mentre un intervento turco minerebbe quel blocco. Tra l’altro la Turchia di Erdogan ha, storicamente, rapporti migliori con Hamas di quanti non ne abbia avuti in passato l’Iran, poiché Hamas è o è stata la sezione palestinese dei Fratelli Musulmani e il partito di Erdogan (AKP, Giustizia e Sviluppo), non è ostile ai Fratelli Musulmani. Discorso analogo vale per il Qatar. Tuttavia, l’Iran ha favorito, nei mesi scorsi, una riappacificazione tra Hamas e Hezbollah e ha rinsaldato i legami con questa branca (religiosa) della resistenza armata palestinese. Per cui lo scenario è estremamente complesso e gli stessi alleati dei palestinesi non intervengono perché non è facile calibrare un intervento produttivo per gli interessi di ciascuno in un ginepraio simile. Probabilmente l’Occidente ha esortato Erdogan a non intervenire pena l’apertura di un fronte di guerra ibrida (rivoluzione colorata, sanzioni) contro la Turchia. Non si sa. Ciò che sappiamo è che, sullo sfondo di questo scenario complesso, il massacro dei palestinesi continua: siamo a 8.000 morti, di cui più di 3.000 bambini (420 bambini uccisi o feriti al giorno). Oggi è stato pure attaccato l’ospedale oncologico di Gaza City. I malati di cancro sono anch’essi terroristi? Per qualcuno, evidentemente, sì…